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lunedì 30 settembre 2013

I PATRIARCHI DA FRUTTO AVRANNO UN FUTURO

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La notizia mi era stata anticipata lo scorso inverno da Sergio Guidi, uno dei soci fondatori dell’attivissima associazione Amici dei Patriarchi. (Fra i libri pubblicati dall’Associazione anche due originalissimi volumi sui Patriarchi fa frutto). Oggi la notizia è apparsa anche su alcuni quotidiani. Facendosi assegnare un pezzo di terreno nel parco di Villa Quintili, a Roma, già da due anni sono stati piantati, per talea, uno per ogni regione d’Italia, i figli di altrettanti alberi da frutto eccezionali per longevità e dimensioni. Per le Marche, è stato scelto un pollone dell’Ulivo di Campofilone (nella foto). L’albero, sicuramente ultrasecolare,si trova accanto a una casa colonica disabitata, che ora si sta tentando di ristrutturare, nella valletta del fosso Canale. La misura della circonferenza è di m. 5,20.
Perché nelle Marche non esistono ulivi millenari, di 8-10 metri di circonferenza, come In Toscana, Lazio, Umbria, Abruzzo? Le ragioni vanno ricondotte al tipo di contratto in vigore nella regione fino a 40 anni fa, la mezzadria. Con la mezzadria, l’intera produzione di olio spettava al padrone. Al contadino spettava solo la “rcasca”, cioè le olive che cadevano spontaneamente a terra e, nelle annate più ventose, nemmeno quella.
Con questa poco allettante prospettiva, il contadino si sentiva disincentivato dal far crescere gli ulivi, preferendo invece la quercia. Essa, infatti, producendo ghiande, permetteva di allevare il maiale, dal quale veniva ricavato il lardo e lo strutto dei quali – questi sì – spettava buona parte al contadino e che venivano usati per cucinare e per condire.
L’ulivo non incontrava favore nemmeno come albero al quale maritare le viti per fare vino. Ogni centimetro del terreno era da sfruttare. Le viti venivano piantate, distanziate, in filari, e nello spazio fra di essi veniva coltivato grano. Le viti, però, da sole non si reggono e hanno bisogno di un albero cui “maritarle”. L’ulivo non era adatto in quanto, essendo pianta sempreverde, sotto di esso il grano non sarebbe cresciuto. Ecco che venivano preferiti l’acero campestre e l’olmo i quali, restando spogli fino ad aprile inoltrato, permettevano sotto di essi la nascita e la crescita del grano. Contadino… scarpe grosse e cervello fino.


Valido Capodarca

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