di Gianni Taminobiologo dell'Università di Padova
membro del Comitato Nazionale per la Biosicurezza e le Biotecnologie
membro del Comitato Nazionale per la Biosicurezza e le Biotecnologie
L'altro motivo, per cui si è arrivati alla clonazione anche dell'uomo, riguarda il fatto che ci sono dei problemi nel trapianto di tessuti ed organi da animali, perché quando io inserisco il cuore di un maiale nell'uomo, ad esempio, ammesso anche che non ci sia rigetto, dal momento che si tratta di un animale umanizzato, comunque sangue e cellule di questo cuore sono sempre sangue e cellule proprie della specie del maiale, e quindi ne contengono le particolari caratteristiche genetiche. Ora, nel patrimonio genetico di ogni mammifero si trovano anche dei virus (vedi l'esempio dell'herpes, che è un virus inserito nel genoma, e che si manifesta in particolari casi di abbassamento delle difese immunitarie). Quando il virus proprio di un animale riesce a colonizzare un altro animale, inizialmente, finchè non si stabilisce una situazione di equilibrio, provoca danni irreversibili. Il virus dell'AIDS e di Ebola sono degli esempi di questo tipo di inserimento di virus propri di alcuni animali (le scimmie) nell'uomo. Quindi il rischio che dai maiali o dalle scimmie usati negli xenotrapianti si trasmettano virus estranei all'uomo è altissimo, mortale. Infatti, poiché nel sangue ci sono delle cellule in grado di diffondersi nell'organismo ricevente, una volta effettuato lo xenotrapianto, si instaura un equilibrio tale che il 7-8% delle cellule dell'individuo ospitante sono di origine animale. Si ottiene così quella che viene definita la 'chimerizzazione'. Siamo realmente in grado di sapere cosa vuol dire, anche solo dal punto di vista pratico, creare organismi chimerici, con tutti i rischi impliciti in questo tipo di intervento? E' evidente che la cosa sia quantomeno avventata. Qui non c'è più la possibilità di mettere su un piatto della bilancia un vantaggio, contro un certo rischio, qui c'è solo un rischio enorme che non può essere controbilanciato da niente!
E tuttavia in Italia abbiamo numerose fattorie impegnate nell'allevamento di maiali transgenici pronti ad essere sperimentati. In Inghilterra si sta discutendo quando autorizzare il primo xenotrapianto da maiale, perciò non stiamo parlando di qualcosa di futuribile, ma di qualcosa che è già in atto.
Un'altra possibilità aperta dalle manipolazioni genetiche per sopperire alla carenza di organi ed ai rischi degli xenotrapianti, è quella di costruire tessuti ed organi ex novo. Ci sono due strade: una è quella della rigenerazione in vitro di strutture utilizzabili, come nel caso della pelle; l'altra è quella di fabbricare degli uomini clonati, limitandoci ai primi stadi di sviluppo embrionale, e una volta raggiunto un certo stadio utile, prelevare delle cellule e farle sviluppare in tessuti o in organi da riutilizzare; anzi, si dice, alla nascita si potrebbe fare subito il clone di un individuo riponendolo in azoto liquido, questo stesso clone all'occorrenza potrebbe essere ripreso, fatto sviluppare fino allo stadio in cui produce organi utili ed utilizzato per i trapianti.
Tutto ciò non fa che portare al dato di fatto della commercializzazione del corpo umano, come la brevettazione delle tecniche di clonazione umana dimostra. Il brevetto relativo al processo di clonazione umana non è venuto per sbaglio, come si tenta di far credere, l'Ufficio Brevetti di Monaco l'ha brevettato ben consapevole di quello che faceva, in quanto questo stesso Ufficio qualche mese fa, sebbene la Convenzione Europea sul Brevetto vieti il rilascio di brevetti di questo genere, attraverso una modifica tecnica del regolamento, ha inserito al proprio interno tutta la direttiva europea sui brevetti biotecnologici, una direttiva molto contestata, che non è ancora stata recepita da nessun paese europeo, rispetto alla quale Olanda e Italia hanno fatto ricorso presso la Corte di Giustizia Europea, e che in questi stessi giorni è in corso di discussione al Senato.
Per capire che non si è trattato affatto di un errore basta leggere il testo di questa direttiva ed il testo di recepimento della direttiva presentato dal Governo italiano, quello stesso Governo che ha fatto ricorso contro la direttiva. Certo, sono state apportate delle modifiche, la direttiva ha ottenuto il voto di tutti i Ministri, tranne quello dell'Ambiente, in ogni caso, sia nella direttiva, sia nel recepimento, si dice esplicitamente che i brevetti non possono essere concessi per tecniche di clonazione di esseri umani (il che in apparenza potrebbe sembrare una nota cautelativa, ma in realtà le cose stanno diversamente), quindi sembrerebbe che si possa parlare di errore. Invece, il termine usato dal Parlamento Europeo era tecniche di clonazione umana, questo termine è stato volutamente cambiato da tecniche di clonazione umana e tecniche di clonazione di esseri umani, la differenza non sfugge e riguarda il fatto che un grumo di cellule, quale è quello che si dà nei primi stadi dello sviluppo dell'embrione, non è ancora ufficialmente definibile un essere umano, quindi l'aver trasformato intenzionalmente i termini consente di lasciare uno spazio di manovra alle tecniche di clonazione che arriva fino allo stadio di plastocisti, in cui ancora non si può parlare di essere umano. La questione viene presentata in termini assai ambigui.
All'articolo 5, primo comma, della direttiva si dice che la brevettazione del corpo umano è vietata, mentre al comma due si dice che parti isolate del corpo umano, compresi i geni umani, sono brevettabili. Ma siccome è del tutto evidente che l'isolamento anche solo dei geni prevede un intervento sul corpo umano, non sfugge come l'ipocrisia del primo comma non serva che a giustificare il secondo.
In realtà il secondo comma non fa che garantire ciò che negli Stati Uniti è pratica comune da anni, ovvero la biopirateria. Negli USA la brevettabilità esiste dagli anni '80, a partire da questi stessi anni in tutte le parti del mondo i ricercatori americani stanno rapinando geni di piante, di animali ed anche umani. Solo l'anno scorso un'unica ditta americana ha richiesto il brevetto per 6500 geni umani.
In Italia abbiamo un signore, i cui geni sono stati brevettati negli USA, un signore di Limone del Garda, che possiede un gene che dà resistenza ad un alto tasso di colesterolo, evitando il rischio di malattie cardio-circolatorie. E' una scoperta molto interessante, ed interessante per tutti, ma questo gene o appartiene a lui, o appartiene all'umanità. Invece no. Questo gene appartiene ad una ditta che lo ha brevettato. Si sa anche di un commerciante dell'Alaska, le cellule della cui milza sono state brevettate, e via discorrendo, ci sono ormai moltissimi casi di questo tipo. Altro caso eclatante quello di una linea di cellule raccolte ad una ragazza india dell'Amazzonia, e brevettate. In seguito, quando la cosa è stata scoperta, la popolazione d'origine della ragazza ha inviato una a lettera al presidente USA, dicendo che mai avrebbero potuto immaginare che si arrivasse ad un'aberrazione tale, che addirittura parti del corpo umano potessero diventare proprietà di qualcuno, senza peraltro che i diretti interessati fossero informati.
La biopirateria ha un campo di applicazione che non riguarda solo l'uomo, ed ora veniamo alla seconda area fondamentale delle biotecnologie: il settore agroalimentare. In questo campo il brevetto ha permesso di rapinare geni di piante in varie parti del pianeta e di brevettarle, laddove questo poteva essere usato biotecnologicamente attraverso manipolazioni genetiche. In India, nei primi anni '90 ricercatori americani hanno scoperto che da più di un migliaio di anni si utilizzano i prodotti derivati da un albero, il nih, che dà origine a prodotti utilizzati in medicina umana ed in agricoltura. Questa scoperta, che appartiene alla storia ed alla cultura del popolo indiano, è stata da sempre messa a disposizione di tutti i popoli dell'area dell'Oceano Indiano, senza che mai nessuno chiedesse a questi popoli di pagare i diritti d'autore all'India. Invece, quando arrivano le multinazionali americane, prelevano i geni di questi prodotti e li brevettano in America. Il meccanismo è quello di una privatizzazione, non solo nei confronti di qualcosa che appartiene alla natura, ma che rientra nella cultura di un popolo che per secoli lo ha messo gratuitamente a disposizione di tutti.
Questa è la brevettabilità.
Oltretutto la brevettabilità è considerabile come un 'offesa al buon senso, giacchè un brevetto si attua quando si ha a che fare con degli oggetti, delle macchine, degli utensili, quindi abbiamo qui l'affermazione implicita che le piante siano assimilabili a delle macchine, a delle cose; e che questi oggetti siano brevettabili in maniera anche più rigida di come si fa con le cose inanimate, perché in effetti qui si sottopongono a brevetto il gene, la pianta modificata con l'inserimento del gene, e la discendenza di quella pianta, perché il brevetto di estende a tutti i figli di quella pianta, che hanno quel carattere. Il che è ben diverso che brevettare una macchina, perché quando io brevetto una macchina, essa non è poi in grado di riprodursi e di fare tante macchinette uguali alla prima, ma devo rifabbricarla io ogni volta.
Siamo di fronte ad un'aberrazione colossale anche perché in questi casi si proclama che l'uomo sia il creatore di quella pianta, di quel gene, o di quell'animale, cosa che al momento non è assolutamente vero, perché non siamo affatto in grado di farlo. Se diciamo che una pianta, in cui abbiamo inserito un gene, peraltro in un insieme di migliaia di geni, è una nostra invenzione, è come dire che se prendo la Divina Commedia e ne cambio una parola, io sono l'autore della Divina Commedia. Se lo facessi davvero, sarebbe palesemente un reato, invece se prendo geni di una pianta non è reato, e le multinazionali possono farlo.
Questa è l'aberrazione del brevetto, che ha conseguenze etiche ed economiche enormi, perché significano la privatizzazione della vita, da parte di poche multinazionali sull'insieme delle risorse genetiche del pianeta.
Tutto questo, applicato a livello agroalimentare significa che poche multinazionali diventano proprietarie dell'intero sistema agroalimentare. Oggi abbiamo immense multinazionali sementiere, che sono le stesse multinazionali della chimica per agricoltura e le stesse delle biotecnologie alimentari. La Monsanto ne è un esempio, essa produce diserbanti attualmente usati in agricoltura, è un'azienda leader nel settore delle biotecnologie, nonché una delle più grandi industrie sementiere al mondo. In tal modo la Monsanto detiene letteralmente il controllo delle risorse agroalimentari del pianeta, insieme a poche altre multinazionali.
Tale controllo monopolistico non ha rilevanza soltanto economica, ma ha un 'importanza enorme anche dal punto di vista sociale e politico, giacchè si acquisisce il potere di condizionare la vita di intere regioni del pianeta. Nella logica della globalizzazione, poi, il progetto è quello analogo a ciò cui abbiamo assistito nel caso dell'industria, di produrre dove, in termini di manodopera e di tutela dell'ambiente, non ci sono organi di difesa, quindi meno controlli, più libertà di sfruttamento e costi di produzione bassissimi. Questi prodotti agroalimentari saranno prodotti in quei luoghi, ma essi non serviranno quelle popolazioni, essi vengono prodotti dove costa meno e venduti dove il mercato tira di più. La logica di questa privatizzazione mi permette un controllo planetario, ma anche una situazione, di fatto già in atto, per cui si fa tutto meno che risolvere il problema della fame del mondo, come invece viene spesso propagandato. Anzi, tutto ciò contribuisce ad affamare ancora di più i popoli poveri, e determinare una situazione intollerabile che sta avvenendo nei paesi ricchi, dove la mancanza di una critica al modello consumistico alimentare porta a mangiare troppo e male, mentre avremmo bisogno di mangiare meno e meglio.
Nella logica della globalizzazione c'è un progetto di controllo del pianeta, che non guarda in faccia né all' etica, né alla difesa dell'ambiente, né ai diritti dei popoli.
C'è anche un problema di impatto diretto delle manipolazioni genetiche in agricoltura, per quanto riguarda ambiente e salute. Quando noi abbiamo l'utilizzo di piante e animali transgenici immessi nell'ambiente naturale, il processo è irreversibile e non controllabile, come avviene in ambiente confinato. Noi non siamo ancora in grado di prevedere che cosa succederà all'ambiente inserendo piante ed animali transgenici, sapendo però benissimo che questa piante e questi animali possono riprodursi senza controllo umano e trasferire il carattere in direzioni non prevedibili e non volute. In questa evenienza si determinerebbe una forma di inquinamento genetico di un carattere che non ha nulla a che vedere con gli equilibri ambientali e che può avere effetti sconvenienti. In altre parole questo mette in pericolo la biodiversità del pianeta, che è la vera ricchezza del pianeta, come dicono le conoscenze sia dei biologi, sia degli economisti.
Senza biodiversità si va incontro ad un processo di desertificazione. Per biodiversità dobbiamo intendere sia come diversità di specie differenti in diversi ecosistemi, sia come l'insieme di diverse caratteristiche genetiche all'interno di una popolazione: ogni individuo è diverso da qualsiasi altro. L'importanza di questo tipo di biodiversità si vede quando c'è un fattore patogeno, per esempio un virus o un batterio, allorchè una parte della popolazione andrà incontro alla malattia, mentre un'altra parte sarà in grado di difendersi. Se non ci fosse biodiversità, se tutti fossimo uguali, clonati, in caso di malattia si rischia la morte di ognuno, perché non ci sarà nessuno in grado di sopravvivere. O si sopravvive tutti, oppure si muore tutti. Sarebbe una sorta di roulette russa inaccettabile.
Oltre al rischio ambientale ce n'è uno immediato, che è quello per la salute dell'uomo con il consumo di cibi transgenici. Riproponiamo lo stesso ragionamento fatto prima: mentre io posso tollerare un rischio per un farmaco che mi guarisce da una malattia, quale rischio posso tollerare per un cibo (che è indispensabile giacchè io devo comunque mangiare)? Del resto non è che io ho il cibo transgenico perché non c'è cibo, oggi mais e soia sono comunque disponibili. Non è affatto vero che oggi si ha più cibo perché c'è il cibo transgenico, come qualcuno dice. Negli USA esistono coltivazioni transgeniche da quasi dieci anni, se è vero che all'inizio ci sono stati aumenti delle rese quasi del 20%, in realtà in tutto questo periodo, rispetto alle coltivazioni non trangeniche c'è stato un leggero calo.
In effetti , le multinazionali, per i loro prodotti transgenici hanno scelto cinque o sei piante da modificare, e solo due tipi di geni da inserire, perché sono quelli che interessavano commercialmente. Sono stati modificati soia e mais principalmente, che insieme costituiscono più del 90% di tutte le coltivazioni transgeniche degli USA, a questi aggiungiamo la colza e due colture non alimentari, il tabacco ed il cotone. Guarda caso noi in Europa abbiamo sottoscritto una Convenzione come quella sulla Biodiversità, che prevede il principio di precauzione (questo principio significa che di fronte ad un processo tecnologico si stabilisce la necessità di valutare se siamo in grado di prevederne i rischi e, una volta previsti, se siamo in grado di controllare i danni in modo da minimizzarli). Ovviamente il principio di precauzione si può applicare nel caso di un ambiente confinato, ma non nel caso dell'immissione libera di organismi geneticamente modificati nell'ambiente naturale, che possono diffondersi senza che io sappia quello che succede. Non ho evidentemente gli strumenti per prevedere che cosa quell'immissione è in grado di provocare dopo venti o trenta anni.
In termini sanitari il principio di precauzione dice che non è possibile autorizzare la produzione di piante transgeniche per la commercializzazione. Infatti sono state autorizzate solo, e con rischio, per sperimentazione.
Negli USA il principio di precauzione non esiste, tant'è che gli USA non hanno firmato la Convenzione sulla Biodiversità del '92, nata al summit di Rio con altre due Convenzioni, quella sui Cambiamenti Climatici e quella sulla Desertificazione. Gli americani non tollerano la precauzione, preferiscono prima contare i morti che ha fatto per stabilire che una cosa è pericolosa. Una volta accertato il danno, si può pensare di apportare delle modifiche al sistema, ma se questi danni non sono più controllabili, come nel caso dell'immissione di OGM nell'ambiente? Evidentemente è ben difficile tornare indietro. Prendiamo il caso del DDT: sono anni che non viene più utilizzato, eppure se ne trovano ancora tracce nel latte materno delle donne occidentali e nel grasso degli animali del Polo Nord. Questo dimostra come, una volta disperso nell'ambiente un processo potenzialmente pericoloso non è più controllabile.
Nel caso degli OGM precauzione significa prevenirne veramente l'utilizzo quando non ne ho conoscenza adeguata.
Tuttavia, anche se noi applichiamo il principio di precauzione, in base alle regole del commercio mondiale, stabilite con la fondazione della WTO, in Europa siamo in una situazione di eccesso nella produzione di cibo, tant'è vero che lo distruggiamo, però siamo deficitari per soia e per mais, che sono prodotti transgenici forniti dagli USA. Fino al '96 abbiamo opposto una certa resistenza, dal '96 abbiamo accettato, perché gli americani man mano che la crescita del prodotto transgenico arrivava oltre il 30-40% del totale, è stato mescolato all'origine il prodotto transgenico con il prodotto naturale, mandando le navi miste dell'uno e dell'altro in Europa. Dal 1996 abbiamo accettato la soia mista, e dal 1997 il mais. Da allora molti prodotti, fra cui i mangimi per animali e gran parte dei prodotti che noi mangiamo, che contengono ad esempio lecitina di soia, amido di mais, ecc., sono ottenuti in gran parte con prodotti importati transgenici. E tuttavia, malgrado ciò sia già in atto, nessuno sa che siamo tutti sottoposti ad un esperimento di massa, senza peraltro averne capito i vantaggi. O meglio, i vantaggi per qualcuno ci sono, e questo qualcuno sono le multinazionali che esercitano questo incredibile controllo. Solo adesso l'Europa comincia a far valere le proprie ragioni in merito al principio di precauzione. Seattle è stato uno scontro, oltre che tra cittadini, Organizzazioni Non Governative, e logica della globalizzazione del commercio mondiale, anche tra interessi e modi di vedere circa questi problemi europei ed americani.
Recentemente sulla biosicurezza c'è stato un incontro a Montreal, dopo il fallimento di Cartagena, avvenuto un anno e mezzo prima, che ha portato un parziale successo, poiché finalmente gli Stati Uniti hanno riconosciuto che altri possono avere nel proprio ordinamento il principio di precauzione, benchè loro non lo ammettano. In base al principio di precauzione noi abbiamo bloccato l'importazione di carne estrogenata dagli USA, questi ultimi intendevano imporre l'accettazione di questa carne, in quanto loro non riconoscono tale principio, la WTO, ma anche l'Organizzazione Mondiale della Sanità se è per questo, altrettanto no riconosce il principio di precauzione. Sulla base di questa divergenza c'è stato un conflitto commerciale. La vicenda è anche emblematica della differenza fra due modi di vedere le cose.
Solo adesso emerge la consapevolezza che noi da anni stiamo mangiando prodotti transgenici, stiamo subendo una sperimentazione di massa, siamo tutti cavie da laboratorio, e non siamo ancora ben certi dei rischi che tutto ciò comporta.
Riepilogando: un primo rischio è l'inserimento nel cibo di nuove proteine, il che vuol dire che è del tutto possibile che una parte della popolazione reagisca con intolleranze o allergie a queste nuove proteine;
un secondo rischio è che insieme con il gene per il carattere desiderato ( sostanzialmente due sono le principali modificazioni operate: l'inserimento del gene per la resistenza agli insetti, che ha provocato la morte di insetti utili e l'assuefazione in insetti nocivi; e, un'operazione portata avanti soprattutto dalla Monsanto, l'inserimento del gene per la resistenza ad un erbicida, il glifosato, di produzione della stessa Monsanto, ma recentemente il glifosato è stato dimostrato essere associato allo sviluppo di un particolare tipo di linfoma, quindi di un tumore; perciò quando io ho una pianta resistente al glifosato, questa pianta può assorbirne in quantità rilevanti, senza subirne danno, sicchè quando poi mangio la pianta, mangio anche il glifosato accumulato in essa, con una forte esposizione al rischio di contrarre un tumore), si inserisce anche un gene marcatore, che dà resistenza agli antibiotici, avente la funzione di verificare se l'operazione di modificazione è andata a buon fine. In questo caso resistenza agli antibiotici significa una certa probabilità che il carattere venga assorbito, in quei pochi minuti prima della digestione, da batteri presenti nel nostro intestino, per un fenomeno noto in microbiologia, questi batteri, divenuti resistenti, possono cedere la resistenza anche a batteri patogeni che sono entrati nel nostro organismo. La conseguenza è che questi batteri patogeni non sono più in grado di essere tenuti sotto controllo dagli antibiotici. E questo è un danno grave alle possibili difese, esterne a quelle naturali, quali sono appunto gli antibiotici.
Ultimo e più inquietante rischi per la salute dell'uomo è che comunque, come è stato visto avvenire nelle piante, l'inserimento del gene estraneo, per il modo in cui è inserito, può portare all'instabilità del patrimonio genetico, aumentando il fenomeno di ricombinazione. In natura questo fenomeno esiste e là dove si verifica, per esempio con il trasferimento dei transposoni, una particolare struttura del DNA che può spostarsi da una parte all'altra. Quando si hanno questi fenomeni le zone coinvolte possono subire delle alterazioni per cui i geni interessati possono o bloccarsi, o attivarsi, o avere un'espressione maggiore o minore di quella naturale; questo vuol dire che, per esempio, che in una pianta può succedere che per effetto dell'aumento di ricombinazione, posso avere dei geni che si attivano e producono una sostanza che normalmente o dove normalmente non la producono, o ne produce di più là dove normalmente ne produce pochissima. Nelle piante abbiamo sostanze tossiche prodotte solo in parti che noi non mangiamo, oppure sostanze tossiche, ma prodotte in quantità ridottissime; ebbene, se la patata, che produce la solanina, che è tossica, comincia a produrla nel tubero che noi mangiamo, evidentemente questo diventa un problema. E non è un problema teorico, come ha dimostrato il caso del professor Putszai, presso lo stesso istituto di ricerca scozzese della pecora Dolly, che scoprì che mettendo un gene del bucaneve nella patata, la patata diventava tossica per gli animali che se ne cibavano. Questo caso ha fatto clamore perché quando il ricercatore comunicò questa scoperta, fu allontanato dall'istituto e diffamato dai suoi superiori, ma dopo un anno e mezzo è venuto fuori che ciò che diceva era vero.
Per concludere: è vero che noi stiamo subendo una sperimentazione di massa, ma è anche vero che i cittadini di tutto il mondo, Italia compresa, hanno cominciato a pretendere quantomeno un'etichettatura dei prodotti transgenici. A partire dal mese di aprile avremo un'etichettatura che però nasconde un inganno, giacchè si è stabilito che al di sotto dell'1% di contaminazione di transgenico venga considerato come non transgenico. Peraltro non è ancora chiaro come si farà l'analisi per determinare quest'1%, ecc.
Ad ogni modo questo è già indicativo di come si stia facendo qualcosa di concreto per arrivare all'etichettatura, il che sta mettendo in crisi le multinazionali. Già nell'agosto dello scorso anno la Deutsche Bank disse che se i cittadini avessero ottenuto l'etichettatura, si sarebbero creati due mercati, il mercato del transgenico e quello del naturale, ed è evidente che dinanzi alla scelta il cittadino preferirebbe il prodotto naturale.
L'Europarlamento ha verificato che dal 75 all'80%, a seconda dei paesi, i cittadini in caso di etichettatura non comprerebbero il transgenico, quindi il mercato del transgenico sarebbe destinato alla caduta. Proprio per questo motivo nell'agosto del '98 la Deutsche Bank ha scoraggiato gli investimenti in OGM.
Guarda caso la Monsanto è entrata in crisi, guarda caso c'è stato qualcosa come Seattle, come protesta mondiale contro questa logica e guarda caso quest'anno negli USA ci sarà un 20% in meno di terre coltivate a transgenico. Segnale chiaro del fatto che se noi, da passivi consumatori, diventiamo cittadini protagonisti, informati, e in grado di scegliere, il mercato lo decidiamo anche noi e non saranno solo gli altri a decidere per noi.
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